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Alessandra Brown: in bilico tra l’assenza e la presenza

Alessandra Brown, classe 1992, è un artista emergente originaria di Bury nel regno unito. Noi l’abbiamo intervistata in occasione della sua personale “ Hostages” presso la galleria “Curva Pura” a Roma il cui finissage si terrà domenica 13 settembre.

Sebbene si tratti di una mostra fotografica, i mezzi espressivi utilizzati da Alessandra variano col variare dei progetti in questione, ma le domande che pone appartengono allo stesso orizzonte di senso:

1. Ciao Alessandra, innanzi tutto grazie per averci concesso questa intervista. Per iniziare parlaci della tua formazione e di quanto ha contribuito nel tuo percorso come artista

La mia formazione non ha seguito un percorso canonico, però, la varietà di approcci e metodologie che ho incontrato, mi ha fornito un insieme di strumenti che utilizzo quotidianamente nella mia pratica.

 Inizialmente mi sono laureata in storia all’Università di Bologna e questo percorso mi ha insegnato a sviluppare un metodo di ricerca approfondito e rigoroso. Successivamente, ho fatto un Master in “Storia e Filosofia dell’Arte” all’Università del Kent, che mi ha aperto alle pratiche artistiche attuali, tuttavia, essendo l’approccio di natura principalmente teorica e, sentendo la necessità di sviluppare un fare pratico nei confronti dell’arte, mi sono iscritta al corso di “Arti Visive – Pittura” presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna.

Questa scelta ha segnato una svolta importante, perché, diversamente dagli studi precedenti, è una realtà che incita alla formazione di un’espressione indipendente, non offre percorsi prestabiliti da seguire e, sebbene possa risultare disorientante, è necessario ai fini della formazione di una propria poetica e visione.

2. Sei un artista molto giovane, quando e come è iniziata la tua carriera di artista

Parlare di carriera è un parolone, però quando sono stata selezionata per una mostra collettiva presso lo Spazio Lavì nel 2018, gestito da Monica Manfrini e Piero Orlandi, è scattato qualcosa.

Era la prima volta che presentavo la mia serie di montages al di fuori dall’Accademia (che, anche se declinato in maniera diversa, è lo stesso progetto in mostra presso Curva Pura di Roma) e di lì a poco è arrivato in finale al Premio Nazionale delle Arti, che si è tenuto a Palermo sempre lo stesso anno. Da quel momento in avanti il progetto ha vinto premi ed è stato inserito in mostre sia in Italia che all’estero.

3. Il medium con il quale ti esprimi è principalmente la fotografia, parlaci di come ti approcci a questo mezzo e delle sue potenzialità espressive

Sicuramente la sua capacità di congelare e preservare un istante del passato per sempre è una cosa che tuttora trovo magica, però, al di là della sua funzione di “portale temporale”, ne apprezzo le sue potenzialità in qualità di strumento narrativo e, d’altro canto, anche ciò che è in grado di rivelare di un determinato oggetto di indagine tramite un approccio seriale. Mi riferisco, ad esempio, al progetto “A Series of Disappointments” di Stephen Gill, in cui fotografa 71 schedine raccolte in negozi di scommesse modellati dalla tensione e dalla delusione della sconfitta oppure a “White Night” di Feng Li che, invece, fa un racconto di un sobborgo di una città cinese che si discosta profondamente dalla visione stereotipata della Cina, offrendo degli scorci rivelatori sulla vita dei suoi abitanti.

A differenza di questi autori, però, l’immagine fotografica rappresenta un punto di partenza per me, l’inizio di una ricerca. Le fotografie che scatto sono appunti visivi dai quali prendo dei pezzi che metto in relazione con altri. È un approccio più da collagista che da fotografa, poiché è nel tagliare, nel cucire, nel sovrapporre e nel nascondere diverse fonti che raggiungo l’immagine finale.

4. Attraverso i tuoi lavori parli di “indagine della memoria” parlaci di questo concetto e del significato che assume per te e nella tua arte

Credo che il passato venga indagato per trovare qualcosa che confermi al suo ricercatore qualcosa sul suo senso del sé, per confermargli come vorrebbe essere e sentirsi, però l’oggetto d’indagine viene necessariamente alterato dalla ricerca stessa: quello che è stato perduto non potrà mai essere trovato.

Tuttavia, ciò non significa che non verrà trovato nulla, anzi, si troverà una creazione della ricerca stessa. Quindi, penso che i miei montages si possano definire come oggetti della “post-memoria”, che è un termine coniato da Marianne Hirsch per descrivere quel rapporto con la memoria la cui connessione alla fonte non è più mediata attraverso il ricordo, ma tramite un investimento immaginativo e creativo.

5. Parlaci del tuo ultimo progetto artistico e dei tuoi progetti futuri

Nell’agosto del 2019 ho realizzato una serie di installazioni durante la residenza artistica “Vis à Vis – Fuoriluogo 22” organizzata dall’associazione Limiti Inchiusi di Paolo Borrelli e Fausto Colavecchia. Ho trascorso un mese in un paese dell’entroterra molisano chiamato Lucito che nel corso del ‘900 ha vissuto un forte spopolamento per via della migrazione dei suoi abitanti verso il nord d’Italia o l’estero.

Questo fenomeno è stato il punto di partenza delle mie riflessioni e, al termine di questa esperienza, ho inserito delle installazioni fotografiche a dimensione reale all’interno di case diroccate o abbandonate. Le installazioni, stampate in trasparenza su lastre di plexiglass, mostravano quei lucitesi immersi nelle loro nuove vite all’estero di cui ormai si è dimenticata l’identità. Contemporaneamente, nell’asilo del paese, che è a rischio chiusura, ho inserito un’installazione sonora con le voci di bambini di discendenza lucitese che risiedono all’estero nell’atto di esprimere motti tipici lucitesi.

Questi due interventi riflettono su quelle “assenze presenti” che ho percepito durante il mio soggiorno e a cui ho cercato di dare una forma tangibile. Più recentemente, invece, ho iniziato un progetto che mostra la tensione che intercorre tra il nostro mondo tecno-globalizzato e il desiderio di salvaguardare relazioni intime. Le fonti di partenza sono ferma-immagini di videochiamate di bassa qualità che riproduco a matita tramite un disegno lento e meticoloso. Il pattern del pixel viene così enfatizzato e trasmette una complessità visuale dettata da codici e dati che mostrano un immaginario attraversato dalla fragilità.


Ringraziamo Alessandra per la disponibilità e vi ricordiamo che per chiunque volesse visitare la sua personale, il finissage si terrà Domenica 13 settembre, presso la galleria Curva Pura (via Giuseppe Acerbi 1, Roma) oppure Sabato 12 su appuntamento.

- Rubina Postiglione -