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Dalla luce un fiore. All’Attico i Corpi Fioriti di Fabio Sargentini

Corpi Fioriti è il tema e il titolo della prima mostra che Fabio Sargentini ha inaugurato il 26 novembre all’Attico di Via del Paradiso a Roma, dopo due anni di interruzione a causa del periodo pandemico.

Di fronte alle problematiche che il mondo dell’arte ha dovuto affrontare per vincere questo stancante senso di sospensione, quale tema migliore di una fioritura? Corpi Fioriti si fa spazio nel territorio romano con grazia ed eleganza, attraverso la selezione di sei opere scelte da Sargentini come protagoniste di questo giardino misterioso.

Per un giovane ed emergente curatore romano, poter entrare all’Attico di Via del Paradiso, vedere la targhetta dorata all’ingresso con il nome di Fabio Sargentini inciso e varcarne la soglia, carica molto le sue aspettative. Lo sforzo più grande che questo può compiere è quello di non lasciarsi condizionare dai sentimentalismi, ma mantenere la sua professionalità nel modo più integro possibile, osservando il progetto da una parte con occhi di un bambino, puri nella loro curiosità e privi di giudizio, dall’altra, invece, con la lente dello studioso, pronta ad assimilare ogni dettaglio e a valutare la mostra nel suo quadro generale.

Entrando nello storico spazio – dalle fattezze domestiche – si è subito indirizzati da una mediatrice a iniziare autonomamente il percorso, da destra e in senso antiorario, verso una sala totalmente vuota e al buio. Ad accogliere lo spettatore, i Destinati di Stefano Di Stasio, opera privata della sua cornice, ma centrale e solitaria all’interno della prima sala; lo sguardo, dunque, si concentra immediatamente sui dettagli delle corone fiorite che legano i due amanti, vicini ma distanti, e resi protagonisti dalla scelta di voler illuminare dall’alto l’opera con un unico punto luce.

Passando alla sala successiva, l’occhio prosegue la sua lettura trovandosi immediatamente sulla destra un Bacchino di Luigi Ontani, pellicola analogica inquadrata da una sottile cornice dorata. L’artista, paragonandosi al dio Bacco, appoggia il suo corpo e, con grappoli d’uva al posto dei piedi, appare rivolto verso sinistra su un dourmeuse antico e intento a cibarsi di un altro grappolo, richiamando nella sua nudità la tradizione classica. All’estremità sinistra della sala, invece, una gigantografia del medesimo Bacchino si presenta in basso adagiata alla parete. Questa volta Ontani si ritrae sdraiato sullo stesso dourmeuse con grappoli d’uva appoggiati al volto e con il corpo rivolto verso destra. Le due fotografie, disposte rispettivamente in alto a destra in basso a sinistra, sembrano guardarsi e l’atmosfera bucolica è ulteriormente sottolineata dalla presenza di due punti luce – direzionati dall’alto verso il basso – che illuminano le opere nelle loro posizioni, come due riflettori di scena.

Uscendo dalla sala del Bacchino lo spettatore si ritrova ad oltrepassare nuovamente l’ingresso per dirigersi nell’ala sinistra del percorso, verso l’opera che Sargentini ritiene sia la musa ispiratrice della mostra, La Criarde di Victor Brauner (1943). È lo stesso curatore ad affermare: «Il binomio corpo-fiore, presente in questo quadro, ha messo in moto la mia immaginazione. Siamo o non siamo noi umani natura?». L’opera di Brauner, che apparteneva precedentemente a Sargentini, venne poi ceduta ad un collezionista privato, il quale – proprio in occasione della mostra – ne ha concesso il prestito. Questa raffigura, scrive Lorenzo Canova nel testo critico, «un essere duale di ambigua doppiezza, erma bifronte in bilico tra Io e Ombra, dalla quale uno stelo emerge come una lingua minacciosa, sovrastata da una corolla trasformata in un occhio splendido».

Victor Brauner, La Criarde, 1943

Se il fiore dell’opera di Brauner, che nasce dall’inconscio, si trasforma nel suo sbocciare in un occhio, così in Tulipano nell’ANO di Luigi Ontani un tulipano si apre direttamente dall’ano di un uomo, ritratto in una posa anticlassica.

Luigi Ontani, Tulipano nell’ano, 1980

Arrivati all’ultima sala, ci si trova davanti ad un ulteriore ambiente buio, allestito come un palcoscenico. Lo spettatore è invitato a sedersi ed ammirare Rose a nudo, quadro realizzato appositamente per la mostra da Stefano Di Stasio, neometafisico verso l’astrazione e protagonista indiscusso del palco. Illuminato sotto i riflettori come un attore pronto per il monologo, l’artista si ritrae in uno scenario sospeso in bilico tra melanconia e rinascita.

Stefano Di Stasio, Rose a nudo, 2021

Teatralità, quindi, è la parola più opportuna per poter elaborare una forma di conclusione. Sargentini, dall’alto di decenni di esperienza, non si cura minimamente di rispondere ad esigenze di mercato giocando, al contrario – mi permetto di definirlo così – il ruolo di promotore di Bellezza.

Il vero successo di Corpi Fioriti non è solo determinato dalla cura scrupolosa con cui il curatore ripropone, tra le opere della sua collezione, quelle più coerenti con il tema, ma anche nella comprensione che, di fronte ad alcune dall’alto valore estetico, qualsiasi ulteriore arricchimento tecnologico dell’allestimento avrebbe potuto distogliere l’attenzione dell’osservatore sulle opera d’arte.

Se ne si capisce, invece, la sua logica, Corpi Fioriti non è la classica mostra rivolta solamente ad un pubblico di nicchia – anche se può sembrare – ma la testimonianza della volontà, da parte del curatore, di far emergere il fiore e la sua rinascita, la dicotomia tra luce e ombra e una rinnovata attenzione sull’opera d’arte nella sua forma espressiva, che si manifesta coronata di una scenografia quasi teatrale. Di fronte ad opere simili, la cui indiscutibile componente estetica favorisce un’immediata connessione con lo spettatore, l’essenzialità torna ad essere l’ingrediente fondamentale nel processo di fruizione, rendendo superfluo qualsiasi strumento di traduzione.

-Giulia Pontoriero-