25 novembre: le artiste che hanno fatto la differenza

Nel dicembre del 1999 veniva istituita la Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne (il 25 novembre.)
I social media hanno aiutato a condannare la violenza sulle donne, in particolare quella sessuale, portando alla luce un argomento che spesso si tende a nascondere e negare, il movimento #MeToo ha dato la voce a migliaia di donne che non avevano avuto il coraggio di parlare prima, così attraverso tweet e post le donne hanno iniziato ad urlare le loro verità. Ma come ci fa notare la professoressa di storia dell'arte di Vanderbilt Vivien Green Fryd, la testimonianza di violenza sessuale ( e non) nella cultura popolare non nasce con tweet e post, ma con l'arte.

Da sempre le artiste infatti hanno usato le loro opere per sfidare le convenzioni sociali e politiche della loro epoca.
Artiste spesso dimenticate hanno condannato e denunciato, consapevolmente e inconsapevolmente, le ingiustizie di genere e la violenza.
Nel corso della storia infatti le donne non si sono trovate a dover fronteggiare solo la violenza fisica ma nel mondo dell'arte soprattutto hanno dovuto far i conti con le barriere istituzionali e con la discriminazione di genere.


Nel XVI e XVII la misoginia era una cosa normale, le donne non avevano diritto di studio ed istruzione e non venivano quasi mai prese sul serio. Tuttavia le donne dipingevano, e lo facevano anche bene, spesso anche meglio degli uomini.
Un'artista ormai universalmente riconosciuta come una delle più grandi artiste donne al mondo è senza dubbio Artemisia Gentileschi, diventata simbolo di un'arte che condanna la violenza femminile.
La crudezza delle sue opere e lo spirito di ribellione e di condanna derivano dal suo personale vissuto. In giovane età infatti la sfortunata artista fu vittima di uno stupro da parte di un amico di famiglia, il pittore Agostino Tassi. Denunciato l'accaduto la giovane fu costretta a subirne l'umiliante processo venendo sottoposta anche a diverse torture. Tassi venne condannato per essere poi assolto grazie a delle conoscenze (sembra una storia di oggi vero?).
La rabbia, la vergogna e la voglia di vendetta di Artemisia troveranno sfogo nelle sue pennellate realizzando capolavori come la famosa Giuditta e Oloferne.
La violenza subita non ha impedito alla Gentileschi di continuare a fare ciò che amava, l'ha resa più forte e le ha permesso non solo di diventare un'artista di grande successo in un'epoca in cui le corporazioni e le accademie chiudevano le porte alle donne ma ha fatto qualcosa di più, ha dato vita e sfogo alla sua personale visione artistica
Di artiste come Artemisia ce ne sono altre, spesso dimenticate. Elisabetta Sirani fu una delle pittrici più famose di epoca barocca. Non ebbe una storia tragica come la Gentileschi ma il suo valore artistico è altrettanto valido. Elisabetta fu una figura chiave per Bologna non solo a livello artistico ma anche sociale, aprì infatti il suo studio a giovani donne diventando una donna che insegnava l’arte ad altre donne, mettendo di fatto in discussione le consuetudini di bottega e i principi teorici dell’educazione artistica dei colleghi maschi.  Un'opera simbolo della Sirani è Timoclea uccide il capitano di Alessandro Magno. Il dipinto, di una straordinaria bellezza, rappresenta un'audace condanna allo stupro. La storia raccontata infatti è quella di Timoclea che venne stuprata da un soldato dell'esercito di Alessandro Magno. Dopo averlo attirato con una falsa promessa Timoclea lo fece cadere in un pozzo seppellendolo poi con dei massi fino ad ucciderlo. Scoperta la donna venne graziata da Alessandro per il suo coraggio. La novità del dipinto sta nel fatto che l'episodio veniva di solito rappresentato nel suo epilogo ossia  Timoclea in piedi davanti ad Alessandro pronta a ricevere il suo giudizio, Sirani invece molto audacemente decide di mostrare la giustizia di Timoclea, piuttosto che la misericordia di Alessandro.

 

Il destino di molte pittrici del XVII e del XVIII venne segnato poi dal loro rapporto con il marito. Molte artiste infatti non subirono violenza fisica da parte dei mariti ma psicologica. Non era raro infatti che un'artista donna sposasse a sua volta un pittore. In molti di questi casi la donna era condannata a vivere all'ombra del marito. È il caso della danese Marie Krøyer moglie di Peder Severin Krøyer che smise di dipingere poiché non si riteneva all'altezza del marito.
Le forti critiche del marito spinsero anche Marie Bracquemond a smettere di dipingere e il marito di Elaine de Kooning oltre a criticarla distrusse anche molte delle sue opere.


Riuscire a non essere oscurate da una figura maschile all'epoca non era facile. Tuttavia anche oggi questo pregiudizio fatica a morire. Se pensiamo a Yoko Ono a molti vengono in mente frasi come “colei che distrusse i Beatles” o “la compagna di John Lennon”. L'identità della Ono viene definita in base alla sua relazione con Lennon e non per la sua arte. Anzi ci si dimentica completamente dei suoi successi artistici.
Yoko Ono ha partecipato a quello che è stato un grande movimento di ribellione femminile negli anni 60 e 70 del 900. Come le pittrici prima di loro, le artiste contemporanee utilizzarono l'arte per denunciare la violenza, in particolare quella fisica iniziando così a denunciare pubblicamente lo stupro.

È quello che ha fatto Yoko Ono con Cut Piece(1964), in cui seduta su un palco di Kyoto ha invitato i membri del pubblico a strappare i vestiti che indossava. Pezzo dopo pezzo l'artista rimase nuda, libera dai vestiti metafora dalle sovrastrutture sociali imposte e padrona della sua nudità.
Yoko Ono è stata una pioniera perché dopo Cut Piece le performance di artiste donne si fecero sempre più intense.

Come la celebre Rhythm 0 (1974) di Marina Abramović in cui l'artista immobile su palco si affidava al pubblico che poteva fare di lei quello che voleva. La performance durò sei ore, l'intenzione dell'artista era mostrare quanto vulnerabile e aggressivo potesse essere l'uomo, oltre che a essere una denuncia contro l'oggettivazione del corpo femminile.

A questo periodo appartiene anche l'artista cubana Ana Mendieta la cui arte indagava l’identità di genere, la morte e la violenza oltre ad avere una forte componente politica. Un'opera in particolare della Mendieta denuncia la violenza. Nel 1973 realizza Untitled (rape scene). La performance è stata ispirata da un fatto di cronaca che sconvolse particolarmente l'artista. Nella sua università una studentesse venne stuprata e assassinata da uno studente. Mendieta allora interpretando la vittima, invitò professori e compagni di studio nel suo appartamento, dove li attendeva nuda e insanguinata, legata a un tavolo. L'artista portava la violenza in una realtà quotidiana, in cui ci si poteva immedesimare.
Paradossale è il destino che attendeva la Mendieta, morta dopo 8 mesi di matrimonio con il celebre artista Carl Andre. La giovane precipitò dal 34° piano del palazzo in cui abitava con Andre. I due avevano litigato tuttavia la storia della sua morte rimane ancora un mistero. Andre era infatti presente durante l'incidente, come unico sospettato venne processato e poi assolto dopo tre anni di inchieste, per insufficienza di prove.


Negli anni 90 un'artista parla di violenza e disparità di genere in un modo apparentemente semplice eppure così geniale, non ha bisogno di performance quello che Jenny Holzer utilizza sono le parole. Servendosi di aspetti presi in prestito dalla cultura dei mass media la Holzer provoca e sfida i preconcetti legati al ruolo dell'arte e della donna nella società di oggi. La sua arma di denuncia? Brevi frasi o lunghi flussi di coscienza legati alla condizione umana.
Tra le più famose possiamo citare  'ROMANTIC LOVE WAS INVENTED TO MANIPULATE WOMEN'  'I SMELL YOU ON MY SKIN”, “MEN DON'T PROTECT YOU ANYMORE”.
L'opera della Holzer che vogliamo ricordare in questa occasione è Lustmord (1993) un'opera nata come denuncia degli omicidi e degli stupri perpetrati ai danni delle donne durante la guerra in Bosnia. Il titolo scelto deriva da una parola tedesca che significa “omicidio sessuale” e vuole indicare un atto di violenza omicida che viene tramutato in soddisfazione sessuale. L'opera era composta da testi, immagini, testimonianze di donne che subirono violenza e vari oggetti costringendo lo spettatore ad osservare da vicino la denuncia di un massacro davvero accaduto. La Holzer costruì tre punti di vista: quello delle donne che subirono la violenza (vittime), quello degli uomini che perpetrarono la violenza (carnefici) e il punto di vista neutro di chi rimane estraneo ai fatti (osservatori).

Una di queste sconvolgenti testimonianze recita “ I am awake in the place where women die” sono sveglia nel luogo in cui le donne muoiono. Anche noi oggi siamo sveglie nel luogo in cui le donne muoiono: in Italia si verifica un femminicidio ogni tre giorni.

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L'articolo si conclude con un'ultima opera piuttosto forte e cruda e soprattutto vera. Parliamo di Hidden in the radiant green, a man waits di Patracia Evans. Si tratta di 25 fotografie che la ritraggono dopo aver subito l’aggressione sessuale che le ha di fatto cambiato la vita, avvenuta nel tardo pomeriggio nei pressi di un lago a Chicago. Quello che maggiormente colpisce di questa raccolta è la scelta di raccontare l'accaduto in modo freddo e impersonale simile ad un report della polizia, cosa che la rende ancora più angosciante.
L'arte è stata la voce di molte donne, queste donne queste artiste hanno trovato il coraggio di denunciare e di parlare di violenza e disparità di genere. Non hanno avuto paura di combattere, di inseguire i loro obiettivi, di battersi per le ingiustizie. Ognuna può trovare la sua voce a suo modo, l'importante è che se ne parli, l'importante è che si denunci.

link utili per ricevere sostegno il caso di violenza:

https://www.interno.gov.it/it/contatti/rete-nazionale-antiviolenza-sostegno-donne-vittime-violenza

centri e i servizi antiviolenza in italia: quanti sono e come funzionano

http://comecitrovi.women.it

https://www.direcontrolaviolenza.it/i-centri-antiviolenza/