Spigolatrice di Sapri: esempio di un sistema educativo italiano decadente

La statua della Spigolatrice di Sapri di Emanuele Stifano è diventato un caso nazionale. Di giorno in giorno aumenta il numero di articoli che narrano della polemica della statua tanto chiacchierata, considerata “sessista” a proposito di una precisa parte anatomica del corpo: le natiche troppo in evidenza. Ma ha davvero senso tutta questa diatriba? 

Innanzitutto, facciamo un passo indietro, perché in pochi si sono chiesti chi fosse questa donna. Questa, in breve sintesi, è la storia: la Spigolatrice di Sapri è al centro di una poesia di Luigi Mercantini ispirata dall’insuccesso della rivoluzione antiborbonica guidata da Carlo Pisacane nel 1857. Versi considerati tra i più importanti della poesia patriottica dell’epoca. Mercantini adotta il punto di vista di una spigolatrice di grano per raccontarci che la donna, dopo aver incontrato casualmente il rivoluzionario Pisacane, se ne innamora e lo segue in combattimento, insieme agli altri trecento. I risvolti della vicenda saranno tragici: ella assiste alla disfatta e al massacro da parte delle truppe borboniche. Celebre fin da subito fu il verso d’apertura e chiusura del componimento poetico: «Eran trecento, giovani e forti, e sono morti!». 

In secondo luogo, bisognerebbe chiedersi se la statua bronzea della spigolatrice sia davvero tanto scandalosa soltanto perché è ritratta con un drappeggio tanto fine che ne fa intravedere le forme del corpo. Perché prendendo in considerazione questo ultimo punto, allora, non c’è davvero nulla di sessista in questa scultura. Come in qualsiasi altra opera in cui si ritrae un nudo.

Il fulcro della questione, secondo la mia opinione, risiede nella palese mediocrità della realizzazione dell’opera e per come è stata concepita. Si potrebbe obiettare, sulla scia di questa considerazione, che una spigolatrice del tardo Ottocento non si sarebbero mai agghindata così come Stifano la rappresenta. Ma non è nemmeno questo il punto. La riflessione che andrebbe avanzata verte sul fatto che realizzare una scultura, almeno decente, è un fatto complesso che richiede una molteplicità di competenze: dall’anatomia all’intera composizione, dal senso della forma alla modellazione. A questo proposito appare calzante la lucida analisi dell’artista Nicola Verlato che “accusa” il sistema in Italia secondo cui non ci sarebbe luogo di formazione adatto dove possa avvenire un percorso di assimilazione e assorbimento di nozioni pratiche per quanto riguarda la scultura e non solo, affermando che nemmeno le Accademie riescano ad insegnare nulla a riguardo. Infatti, Verlato scrive: 

«Le accademie d’arte, a partire dalla fine degli anni 60, hanno disintegrato nel nulla un bagaglio di conoscenza millenaria che formava artisti e artigiani in grado di affrontare il difficilissimo compito di cui ci occupiamo. Il vero problema della statua (e di chi la vuole abbattere) infatti è proprio questo stato di abbandono in cui scultori e pittori si sono trovati ad essere nel momento in cui si sono rivolti al sistema educativo italiano per ottenere quelle basi necessarie a risolvere gli infiniti problemi cui ci si trova di fronte quando ci si impegna in un compito del genere. Questo abbandono è ciò che si deve primariamente constatare, se non si è accecati dall’ideologia nefasta della “cancel culture”, di fronte alla statua della spigolatrice: l’anatomia è sommaria e spesso inesatta, il drappeggio approssimativo così come la modellazione in molte zone, la posa è rigida e forse in tutto ciò solo la testa si salva anche se (perlomeno dalle fotografie) risulta troppo grande in proporzione. L’intento dello scultore non è quindi da condannare, e anzi è da vedere in termini positivi, anche perché si inserisce in un generale risveglio di interesse della scultura monumentale condiviso anche dal sistema maggiore dell’arte, ma proprio per non prestare il fianco alle smanie iconoclaste la critica alle evidenti debolezze deve essere fatta.»  

Di conseguenza, l’accusa andrebbe rivolta al sistema educativo italiano che ha del tutto abbandonato quel campo che per millenni ha reso l'Italia epicentro mondiale di questo tipo di cultura figurativa. Con l’avvento dell’arte concettuale negli anni Sessanta si è commesso l’errore di credere che ideazione e creazione di un’opera fossero due valori nettamente separati. Inoltre, non andrebbe sottovalutato neppure il fatto che dopo un secolo di astrazione nel mondo dell’arte figurativa il pubblico appare oggi poco “educato” alla visione di una scultura come la Spigolatrice.  E non si escludono, come continua ancora Verlato, nemmeno gli ultimi esempi scultorei degli artisti main stream del panorama artistico, perché:

«Non dobbiamo nasconderci che le sculture di Damien Hirst alla Galleria Borghese potrebbero essere state fatte dallo stesso artista della Spigolatrice, lisciate all’inverosimile ma terribilmente carenti di anatomia e soprattutto di senso della forma, apparendo rozze e indigeste rispetto alle meraviglie che contiene quel museo a fianco delle quali potrebbero sembrare simili tutt’ al più a quelle sculture antiche che di solito i musei tengono nei depositi e che hanno un valore di tipo esclusivamente documentale.»  

La Spigolatrice ci ha offerto la possibilità di riaprire il dibattito su qualcosa che sembrava perduto da tempo, aprendo inoltre anche un possibile scenario di riscatto della funzione pubblica dell’arte figurativa. Il rischio che ciò non possa realizzarsi però rimane alto perché già si parla di una possibile rimozione della statua, inaugurata appena il 26 settembre. Nel rimuoverla, a mio avviso, si commetterebbe un grave errore. Le opere dei musei servono a comprendere il passato e anche (a volte) a liberarsene, come esorta Tomaso Montanari nel descrivere la vicenda di una statua abbattuta a Bristol in quell’ondata di manifestazioni per la dignità dei diritti dei neri in America. Ispirandomi alle sue parole, spero che l’opera resti lì al suo posto. Come un monito eterno: contro ogni mendace giudizio su un’opera senza aver svolto profonde riflessioni, contro ogni lacuna del sistema educativo italiano nel mondo dell’educazione all’arte. 

Altre considerazioni che non prendono in esame né il contesto storico, né quello culturale (né tantomeno di un’educazione rivolta ad un percorso artistico figurativo), fanno parte di battaglie ideologiche su temi di cui in realtà i fantomatici opinionisti esperti (nati di mattina e morti alla sera) hanno piatta cecità di pensiero.

-Carlo Martino -