Biennale di Venezia 2021: non una Biennale di Architettura ma la migliore Biennale di Architettura
Paragonabile alle esperienze di Rem Koolas nel 2014 e di Aravena nel 2016, Hashim Sarkis non indugia nella sterile mostra di edifici futuristici, ma ci obbliga ad una riflessione sul cambiamento climatico.
In una Venezia che ancora sa di distanziamento e restrizioni, la Biennale di Architettura 2021 rappresenta l’appuntamento più atteso: dai Giardini, dall’Arsenale e da Porto Marghera si alza un grido di speranza. How Will We Live Together? Come vivremo insieme? Una domanda che in questo momento storico assume un peso filosofico significativo. La pandemia ci ha insegnato come vivere insieme senza contatto, distanti ma non lontani.
Ma vivere è condividere: per questo motivo Hashim Sarkis ha chiesto ai 112 partecipanti (da 46 paesi del mondo) di declinare il concetto di convivenza in 5 scale, Among Diverse Beings, As New Households, As Emerging Communities, Across Borders e As One Planet.
I progetti mirano a sostituire la gerarchia architettonica novecentesca di periferie e centro, villini signorili e edifici popolari brutalisti, metropoli e campagna, economia ed ambiente, proponendo un modello di pianeta in cui uomini, animali ed elementi coesistano pacificamente. Non più quartieri fantasma, né cattedrali nel deserto. Non più il sacrificio della natura a vantaggio di un’industria cannibalizzante. L’architetto torna ad essere costruttore del futuro, promotore di una visione ottimista, in una delle edizioni più difficili della storia delle Biennale.
Tra i favoriti, i lavori della firm di Fanhao Meng, che indaga nuove soluzioni per gli abitanti dei villaggi rurali cinesi che sognano le infrastrutture delle grandi città, e per gli uomini d’affari delle metropoli che anelano la tranquillità e la pace della campagna. È in questo disallineamento delle richieste che si incentrano le sfide dello studio d’architettura, presente a Venezia con un lavoro che propone soluzioni bucoliche per la popolazione urbana e la realizzazione del city dream per gli abitanti della campagna.
Ancora, SKIDMORE, OWINGS & MERRILL propongono un modello di abitazione permanente in grado di ospitare gli uomini nello spazio. Lasciarsi dietro la Terra significa non significa solo adattarsi alla mancanza di ossigeno e alle radiazioni: con il contributo di esperti dell’ESA i nuclei abitativi sono frutto dello studio di geometrie, strutture portanti, materiali, in relazione agli ostacoli che lo spazio impone all’architettura. Strutture borderline tra case futuristiche e navicelle spaziali compongono il Moon Village. Elementi rigidi e morbidi si uniscono per innovare non solo la tecnica, ma anche l’integrazione sociale tra gli abitanti delle strutture. Un sodalizio, quello di SOM, tra una visione scientifica, ingegneristica, estetica dell’architettura, che ha consentito la realizzazione di un prototipo altamente sostenibile. Un primo passo verso la rispettosa conquista di nuovi pianeti.
L’ Atelier Marko Brajovic indaga il rapporto tra l’Amazzonia e l’acqua: come gli organismi anfibi e la sapiente architettura indigena, è fondamentale che l’uomo disegni il proprio spazio nella prospettiva di una simbiosi con l’ambiente e le altre specie.
Per la sezione As one planet la Biennale propone Resurrecting the Sublime una collaborazione tra l’artista Alexandra Daisy Ginsberg e l’artista/ricercatore Sissel Tolaas. Utilizzando piccole quantità di DNA estratto da campioni di tre fiori conservati presso l’Università di Harvard, il team ha sfruttato la biologia sintetica per codificare enzimi che producano fragranze. Grazie a questo progetto, è stato possibile recuperare il profumo del fiore hawaiano Hibiscadelphus wilderianus Rock, indigeno delle pendici meridionali del monte Haleakalā, a Maui, Hawaii, scomparso a causa degli allevamenti intensivi di bestiame.
La sostenibilità è anche la chiave di volta del Padiglione Italia- Comunità Resilienti: in linea con il progetto di Milovan Farronato per la Biennale di Arte 2019, il curatore Alessandro Melis ha dichiarato che tutto il materiale di scarto prodotto per la realizzazione della struttura, è stato reimpiegato. Anche installazioni e allestimenti vivranno una seconda vita dopo che il sipario calerà su Venezia. Pensiero scientifico e anomalie, la caverna di Platone e il coniglio di Alice, bottiglie di plastica e antenne per le osservazioni astronomiche ci conducono al rumore fossile del Big Ben. La creatività “serendipitosa” che nutre l’architettura viene narrata nel teaser di presentazione: https://www.comunitaresilienti.com/
È sempre italiana un’installazione dal forte impatto sonoro ed emotivo: Antarctic Resolution (2020). curata da Giulia Foscari in collaborazione con Arcangelo Sassolino, propone il rumore sordo provocato dallo scioglimento dei ghiacciai in Antartide.
Ma non finisce qui: sono tantissime le proposte dei padiglioni stranieri e gli eventi collaterali che coinvolgeranno la laguna fino al 21 novembre 2021.