Jeanne Dielman, 23 quai du Commerce, 1080 Bruxelles perché è il miglior film di tutti i tempi

É il 1 dicembre del 2022 e sulla rivista Sight and Sound del British Film Institute escono i risultati della loro classifica decennale sul miglior film della storia del cinema. Jeanne Dielman, 23 quai du Commerce, 1080 Bruxelles, scritto e diretto da Chantal Akerman, è al primo posto, sfilando così il trono a La donna che visse due volte (Vertigo) diretto da Alfred Hitchcock.

É la prima volta, dal 1952, data del primo sondaggio, che una regista donna si aggiudica la vetta. Nasce così, quasi come da pronostico, un’accesa discussione fuori e dentro il circolo cinefilo. É evidente, come anche espresso dall’editor di Sight and Sound, che Jeanne Dielmann sia un film femmminista e d’avanguardia che ha sfidato e continua a resistere ad un modo di fare cinema troppo tradizionalista.

Detta così, sembrerebbe proprio uno di quei film da circolo elitario, comprensibile a pochi, solo agli appassionati di cinema o a chi si dedica alla causa femminista. Sebbene le classifiche non abbiano ormai un grande peso, la scelta di posizionare il film della Akerman al primo posto oggi diventa un simbolo, l’emblema di un’ istituzione che si affaccia ad una riflessione ontologica e che rivolge la propria attenzione fuori dal proprio circolo privilegiato.

Il messaggio diventa molto chiaro, il cinema di oggi ha bisogno di premiare, chi coraggiosamente, ha messo in discussione l’estetica ed il linguaggio, servendosi di una forma d’arte che non segua i canoni e i metodi del cinema tipico e popolare.

Il film racconta uno spaccato di vita della casalinga vedova e madre Jeanne Dielman. La pellicola si svolge in tempo reale, tre giorni in cui la donna si dedica minuziosamente alla sua routine: lavare, pulire, aiutare il figlio con i compiti e prostituirsi ricevendo, una volta al giorno, gli uomini in casa. Con Jeanne Dielman lo spettatore assiste ad un gesto artistico puro, minuto dopo minuto per tutta la durata del film. Sarebbe meglio dire che, in più di duecento minuti, Chantal Ackerman documenta la vita di una donna, che scandisce il tempo e lo spazio casalingo asserendo ad ogni gesto e ad ogni oggetto uno specifico significato, necessario a non soccombere ad una vita vuota e cruda. La protagonista vive un’esistenza programmata che non lascia dunque spazio a nessun momento di disordine. La ritualità quindi, è il tema cardine su cui si basa l’intera pellicola, acquisendo una centralità narrativa tipica dell’arte parformativa, teatrale e del cinema sperimentale. La liturgia femminile e la sospensione temporale che questa comporta, per ammissione dell’autrice stessa, affonda le proprie radici nella religione ebraica, un’impronta indelebile nella famiglia della Akerman composta per lo più da donne. É durante il terzo giorno che la vita di Jeanne prende una piega inaspettata, un climax che porterà la protagonista ad un esito drammatico, ad un vero e proprio gesto di progressione narrativa carica di pathos. É un film costruito con ingegno, tutti gli elementi - interni ed esterni- costituisco componenti necessarie per una narrazione che non lascia spazio all’intuizione, è diretto, calibrato, con lo scopo di lasciare lo spettatore in una condizione di transito, di riflessione, proprio come la protagonista. Il cinema proposto dall’autrice è politico, rivoluzionario ed enigmatico e rispecchia esattamente l’impegno e l’intenzione dell’avanguardia femminista di cui, lei stessa e questo film, diventeranno manifesto.

Chantal Akerman è una maestra nel raccogliere e connettere il suo vissuto, il suo impegno politico e il suo valore artistico in tutte le sue opere. I suoi film, le sue istallazioni si distinguono da sempre per il carattere critico e pionieristico, riguardo temi e cause contemporanee. La Akerman viene riconosciuta come una delle più grandi registe attuali perchè è riuscita a tradurre quesiti di carattere ontologico in immagini cinematografiche. Con Jeanne Dielman, film con cui diviene celebre, sembra aver onorato la sua cifra stilistica trasferendo sullo schermo una proiezione di una reale condizione del cinema e del femminismo. Ma andiamo per ordine.

La riflessione sull’arte filmica, sull’immagine che questa dovrebbe produrre e la sua funzione per Chantal Akerman è necessaria e Jeanne Dielman ne è la prova. La scelta visiva e narrativa della Akerman è quella di porre in relazione tre elementi, che vengono ancora prima dell’idea narrativa, l’occhio della macchina da presa, e di conseguenza quello dello spettatore, e la materia filmica. É una condizione di relazione tra l’immagine e il mondo che si estende non solo ad un livello concettuale ma anche al montaggio e alla narratologia. Quello che accade in Jeanne Dielman è l’estalzione sofisticata dell’impegno ad approfondire la riflessione tra realismo e la natura realistica dell’immagine. Nonostante Jeanne Dielman appaia molto simile ad un film documentaristico è, a tutti gli effetti, tutto il contrario: è un film di finzione, con una sceneggiatura, un set (all’80 % formato da donne) e degli attori. La realtà esposta nel film dunque è filtrata e mediata dalla finzione cinematografica anche laddove l’ambientazione domestica così dirompente è protagonista. Si può dire però che la rappresentazione messa in scena, grazie all’utilizzo di lunghi piani sequenza ed una camera statica, è di fatto a servizio della realtà e della vita e non si piega alle dinamiche di manipolazione spazio temporale della narrativa classica del cinema. In questo caso la componente tecnica si adatta agli eventi. Le lunghe sequenze che compongono il film, i tempi morti, i dialoghi scarni e i rapporti freddi della protagonista si prestano ad una riflessione di carattere sociale e di rieloborazione del linguaggio di cui, con questo film, la Akerman ne ha fatto un caso tra i più interessanti del cinema narrativo contemporaneo. La narrazione è scandita dai movimenti della donna, gesti ritualistici sempre identici a se stessi, movimenti armonici che sembrano non agire direttamente sulla storia. Jeanne vaga nello schermo come nella sua casa incapace di reagire alla sua condizione, impersonificando così lei stessa il tempo presente ed il tempo futuro. Ella assiste ai tempi morti in un labirito di monotonia meccanica, non incontrando altro che la sua condizione disperata e senza speranza. Tutto il film è caratterizzzato da questa sovrapposizione tra cinema e realtà, lo spazio tra la vita e lo spettacolo è quasi nullo ed è direttamente la vita ad affacciarsi sullo schermo, valorizzando la dimensione dell’ordinario.

Infine, c’è da ricordare il discorso politico di matrice femminista che la Akerman inserisce all’interno di molte sue opere, non a caso i suoi film diedero un grande impulso al movimento denominato “avanguardia femminista”, dove sarebbe stato proprio l’irrompere del corpo, del desiderio, mosso soprattutto da un femminile in rivolta, a indicare nuovi codici e nuove parole. Da non sottovalutare lo spirito rivoluzionario degli anni Sessanta- Settanta che lei stessa vive mentre si trova a New York entrando in contatto con esponenti del New American Cinema Group. É in questo contesto di rottura che la Akerman elabora la riflessione sull’immagine, sul linguaggio, e sulla rappresentazione. Per l’autrice infatti il fattore estetico, oltre ad essere fondamentale riguardo il quesito contenutistico, ha di fatto una funzione politica ed ideologica. Il cinema che la regista offre al pubblico è un cinema politico perchè sottoposto ad una rottura di tutti i canoni classici. La natura ideologica di Jeanne Dielman, quai du Commerce, 1080 Bruxxelles, è una questione di legittimazione dell’imagine: la rappresentazione di una casalinga su un grande schermo, impegnata nelle faccende quotidiane in un contesto ordinario come quello domestico, restituisce dignità a tutte quelle azioni, soprattutto se relegate a personaggi femmminili poco presenti nel cinema, che vengono escluse perchè considerate poco interessanti.

A distanza di più di quarant’anni Jeanne Dielman, 23 quai du Commerce, 1080 Bruxelles restituisce ancora una visione sociale e cinematografica del tutto attuale. É un film coraggioso che arricchisce il punto di vista, che mostra tutto quello che si fa fatica a raccontare e che rompe tutti gli stereotipi presenti all’interno e all’esterno del mondo cinefilo. É un capolavoro che insegna ed educa e che ha finalmente conquistato il posto che meritava.

-Giorgia Appignani-