Uno spazio recuperato. Ridisegnare lo Spazio a cura di Angela Madesani, LABS Contemporary Art.
Difficile, al giorno d’oggi, pensare ad un titolo più appropriato di Ridisegnare lo spazio per una mostra d’arte contemporanea. Angela Madesani, storica dell’arte e curatrice indipendente, ha invitato quattro artisti di caratura internazionale (Marina Caneve, Andreas Gefeller, Giulia Marchi e Massimo Vitali) a ridiscutere, tramite il medium fotografico, il loro concetto di spazio. La mostra aprirà il prossimo 12 febbraio nella ormai storica galleria bolognese Labs Contemporary Art, in Via Santo Stefano.
Ridisegnare lo spazio, LABS Contemporary Art, a cura di Angela Madesani – Installation view– Photo Credits © Carlo Favero
Sembra quasi ironico parlare di “Ridisegnare lo spazio” in un momento del genere, in cui molti professionisti del settore hanno visto rimandata, per il secondo anno consecutivo, una kermesse del calibro di ArteFiera. In risposta a questa sospensione provvisoria, le gallerie, di comune accordo, hanno deciso di rimandare i loro programma di inaugurazioni, ad eccezione del progetto Booming Contemporary Art Show, il quale ha portato, per la prima volta, una fiera d’arte contemporanea nella discussa realtà del Metaverso.
Parlare dunque di “Ridisegnare lo Spazio” in un contesto dove i perimetri fisico-spaziali si dissolvono all’interno di uno spazio virtuale, è una scelta tempisticamente riuscita. La decisione, da parte di Angela Madesani e del gallerista Alessandro Luppi, di voler allestire una mostra fotografica – dove l’immagine nella sua stessa funzione tecnica-ontologica circoscrive una porzione di spazio all’interno di un confine – sottolinea maggiormente l’esigenza di voler lasciare lo spettatore vittima di continui dubbi: cosa significa dunque ridisegnare lo spazio?
La curatrice lascia la parola agli artisti affermando che questi ultimi «guardano, attraverso la camera, lo spazio che hanno di fronte e lo interpretano, lo leggono, lo disegnano, lo propongono al di là di una dimensione prettamente oggettiva».
Il collaudato modus operandi di Massimo Vitali lo porta in mezzo alla gente, lungo le spiagge, passeggiando e osservando la vita delle persone, e successivamente a privilegiare un punto di vista rialzato che gli concede la possibilità di racchiudere in un fotogramma del suo banco ottico un preciso disegno mentale. Nella prima opera in mostra, Ponta dos Mosteiros Dark (2018), realizzata nelle Isole Azzorre, Vitali inquadra dall’alto, con un campo lungo, la scogliera vulcanica portoghese decorata dalla presenza delle persone, le quali, grazie al fondo roccioso scuro della stessa, in forte contrasto, emergono con il colore dei loro costumi. Con netta coerenza tecnico-stilistica, nella seconda opera, Friche de la Belle de May-On Air (2017), il tetto di un ex-tabacchificio della città di Marsiglia si trasforma in uno spazio ricreativo: una piazza urbana dove le persone si incontrano, mangiano, e la presenza di un disk jockey lascia intendere che danzeranno. Lo spazio sociale delle fotografie di Vitali, fortemente antropizzato, sia nella fattezza naturale che urbana, nel suo aspetto ontologico è destinato ad essere relativo, in balia di un continuo mutamento.
Massimo Vitali, Friche de la Belle de Mai On Air, 2017, Lightjet print from original digital file on photographic paper, 181,5x242 cm
L’uomo invade la natura occupandola, a volte abbandonandola, ma sempre lasciando delle tracce, dei frammenti che si fanno epifania di una presenza che è passata e mantenuta, se non nella fisicità, quantomeno nel ricordo individuale e collettivo.
È proprio attraverso la frammentazione, infatti, che Marina Caneve cerca di definire la sua concezione di spazio . Sono tre le fotografie scelte dalla serie A fior di terra nelle quali Caneve si serve dell’estrazione e lavorazione del marmo propria del comune veneto di Lusiana Conco, per ricreare una spazialità proprio dall’assemblaggio per niente anastilotico del frammento marmoreo. Il ri-assemblare pezzi di pietra differenti crea così una nuova identità scultorea, autonoma, che si integra perfettamente nel paesaggio circostante grazie alla neutralità dello sfondo.
Marina Caneve, A fior di terra, #05, 2021, Archival pigment print, Canson Infinity Platine Fibre Rag paper mounted on Alu-dibond, framed, 72 × 90 cm
La fotografia di Caneve, come un collage, ritaglia porzioni di spazio, andando anche oltre il limite della cornice. Di particolare impatto visivo, infatti, è anche la scelta dell’allestimento da parte della fotografa: l’idea dell’assemblaggio viene esteso anche al di fuori del contenuto stesso dell’opera fotografica, dove il dettaglio, quasi monumentale, di una parete rocciosa fa da sfondo ad un’ulteriore immagine – circoscritta nella cornice– sovrapposta ad essa, come fosse una finestra di una realtà ulteriore. La testimonianza di una traccia passata viene poi confermata da due ragazze presenti in basso a destra, che come spettatrici osservano ciò che è stato lasciato. Il marmo, materiale costruttivo anticamente utilizzato come simbolo di prestigio, è ormai quasi destinato a scomparire non nella sua presenza ma nel ricordo, ad oggi, di un’abitudine ormai persa.
Marina Caneve, A fior di terra, 2021 – Photo credits ©Carlo Favero
Il tema dell’assemblaggio, come nuovo disegno spaziale, che la Caneve esprime nelle sue opere, viene poi sostituito con quello dell’addizione nella serie Fundamental di Giulia Marchi, dove l’idea di spazio viene portata, agli estremi di un concettualismo sempre più prossimo alla resa dell'idea di assoluto. Se nella Natura dello Spazio Logico, personale inaugurata lo scorso 24 ottobre 2020, la Marchi presentava – come afferma la Madesani nel suo testo critico – «una riflessione di matrice esistenziale sulla gestione di ognuno di noi all’interno di un luogo […]», chiaro riferimento alla filosofia wittgensteiniana , con Ridisegnare lo Spazio ad essere ricercata è una nuova estetica formale a partire da uno spazio abbandonato. Servendosi della riflessione dell’architetto olandese Rem Koolhas attorno al concetto di JunkSpace (letteralmente «spazio spazzatura») l’artista, in una delle due opere in mostra, si serve di un pezzo di legno di risulta, già presente nel luogo abbandonato – l’ala nuova del Museo della Città di Rimini – per dar vita a una nuova percezione spaziale. È la stessa artista a ribadirlo: «il mio lavoro fotografico è stato concepito e pensato solo con quello che lo spazio mi metteva a disposizione, nessuno artificio, nessuna intrusione, nessuna luce artificiale»
Le opere della Marchi sono il frutto di una ricerca e una rielaborazione dello spazio raffinata, ai limiti del minimalismo. Talvolta aggiunge, talvolta sottrae, altre volte ancora cambia il punto di vista. “Essenziale” è il termine più appropriato per descrivere le sue immagini, ma “variabile” è il punto di vista che la Marchi dona allo spettatore.
Giulia Marchi, Spazio#2, 2017 Giclée Print on Harman by Hahnemühle Gloss Baryta (320 g), cm 100x100
Arrivando alla conclusione, si può affermare che la definizione ontologica dello spazio lo colloca nel dominio delle convenzioni, degli atti puramente mentali che vanno che si concretizzano in relazione alla componente materica. I limiti spaziali vengono sì definiti dall’esistenza della cornice, ma la percezione visiva del luogo al suo interno viene rielaborata n volte in una modalità di ricerca quasi tautologica. È attraverso un processo di reiterazione del reale che il fotografo tedesco Andreas Gefeller assembla come un collage tante porzioni di realtà, creando, per mezzo di una manipolazione digitale, una nuova visione prospettica mai esistita. L’inquadratura zenitale presente nelle sue oopere sia in Supervisions che nella successiva The Japan Series, sottolinea un’ambiguità percettiva in bilico fra astrazione e realismo. Gefeller gioca sulla duplice percezione delle sue opere. Se da un lato lo spettatore percepisce le sue opere come assemblaggio di forme geometriche, come un’alternanza di pieni e vuoti, dall’altro lo costringe ad avvicinarsi per avere una visione completa dei dettagli che ogni singolo oggetto presente all’interno del fotogramma ne è composto.
Andreas Gefeller, Academy, Raum 209, 2009 Lightjetprint Diasec, 110x89 cm, Courtesy Thomas Rehbein Galerie, Cologne, Germany
A cura di Angela Madesani
Dal 12 Febbraio al 5 aprile 2022
LABS Contemporary Art
Via Santo Stefano, 38
40125 Bologna (BO)
Opening 12 Febbraio 2022, ore 16:00-21:00
Telefono:
+39 051 3512448
+39 348 9325473
Email: info@labsgallery.it