Intervista a Gian Maria Tosatti: Biennale e Quadriennale, un dialogo sul futuro dell’arte italiana.

Gian Maria Tosatti (Roma 1980) è un artista visivo italiano. I suoi progetti sono indagini a lungo termine su temi legati al concetto di identità, sia sul piano politico che spirituale. Il suo lavoro consiste principalmente in grandi installazioni site-specific, concepite per interi edifici o aeree urbane e coinvolgono spesso le comunità connesse ai luoghi in cui le opere prendono corpo. Collabora con il Corriere della Sera e con la rivista Opera Viva. 

Scelto come unico artista del Padiglione nazionale dal curatore Eugenio Viola, con cui collabora a partire dal 2013, con un progetto di occupazione ambientale intitolato “Le sette stagioni dello spirito”.

Simultaneamente arriva la nomina come Direttore Artistico della Quadriennale di Roma per il triennio 2021-2024.

INTERVISTA

Innanzi tutto complimenti per le sue due nomine, a questo proposito volevo chiederle cosa significa per lei questo ruolo che le è stato assegnato sia per la Biennale che per la Quadriennale?

Sono due grandi responsabilità e due grandi onori, però al di là del piacere che può fare personalmente un’opportunità che viene data, l’unica cosa che conta veramente è il risultato che si riesce a raggiungere, quindi per ora ho molto poco da dire su questi due progetti, sono felice di avere l’occasione di provare a fare un buon lavoro.

L’unica cosa seria che mi viene da dire è che mi piacerebbe commentare e rispondere a questa domanda tra qualche mese per la Biennale e tra qualche anno per la Quadriennale 



Ha già in mente quale sarà la sua linea di azione? 

Sicuramente! Sul padiglione abbiamo già un progetto che è in fase avanzata di sviluppo, per la Quadriennale ho vinto la selezione proprio in funzione di un programma, però un conto è scriverne uno un conto è poi realizzarlo, perché al di là dell’idea in sé, bisogna anche vedere come certi gesti trovano attenzione, trovano disponibilità e trovano la capacità di avere successo nel contesto in cui vengono calati.

Con Quadriennale stiamo cercando di fare un progetto molto serio che cerchi di portare l’istituzione ad assolvere fino in fondo quella che è la sua mission costitutiva: cioè quello di essere un ente scientifico di ricerca per l’arte contemporanea, oltre che di promozione. Questo significa che tenderemo a concentrarci sull’analisi e sull’indagine dell’arte italiana.

Al di là della mostra in sé che non mi compete, perché si farà un anno dopo la fine del mio mandato, nello specifico il mio compito si rivolge principalmente alle attività della fondazione. Quest’ultime riguardano appunto la volontà comune, mia, e di tutta la struttura, di riportare in primo piano tutta la parte scientifico analitica della fondazione. Intanto c’è già l’archivio che fa un grandissimo lavoro per ciò che avviene nell’arte che potremmo definire storicizzata, con lo stesso piglio scientifico vorrei che la fondazione stessa cercasse di analizzare, indagare e fungere da riferimento anche per chi opera nell’arte, per gli artisti stessi. 



Umberto Croppi aveva parlato dell’importanza di riportare gli artisti al centro dell’istituzione.

Diciamo che la Quadriennale è una fondazione che deve servire agli artisti perché serve un elemento orientativo. Alla fine la Quadriennale è un’esposizione, non un giornale né una rivista che magari ha la sua linea editoriale, il suo editore e i suoi interessi. È un’istituzione, quindi cerca fondamentalmente di fare un’indagine che non abbia nessun tipo di condizionamento.  

L’obbiettivo è di fare in modo che gli artisti ottengano dalla Quadriennale un tipo di monitoraggio, di apertura a un dialogo critico che magari in questa fase specifica non è semplice trovare. C’è una certa difficoltà oggi per gli artisti nell’avere dei confronti critici sistematici (poi puoi trovare il critico di fiducia, con cui hai un rapporto positivo) comunque quello che intendiamo fare è portare tutto il valore che c’è nel confronto critico ad un livello che valga per tutto il paese, per tutti gli artisti, cercando di compiere un monitoraggio molto esaustivo, costante, continuativo e che li coinvolga. Il metodo scientifico fa questo, noi non commissioniamo progetti particolari o altro, ma cerchiamo di sviluppare delle interlocuzioni con gli artisti che siano fruttuose. 

Dopo di che c’è un altro compito fondamentale in Quadriennale che è quello della promozione, parola dal significato molto ampio, perché per esempio agli artisti può servire un confronto critico ma al pubblico serve anche la capacità di avere una lettura. Se non si comprende qual è la fotografia di insieme, è molto difficile orientarsi nell’arte contemporanea e chi non si orienta non si appassiona.

L ‘arte è un elemento necessario alla vita delle persone, non perché sia un elemento decorativo, ma perché di fatto è un interfaccia che ci consente di processare fino in fondo i fenomeni della realtà con cui quotidianamente abbiamo a che fare. É uno strumento di mediazione del senso dell’esistenza. Quindi diciamo che se a un certo punto il mondo dell’arte comincia a sembrare confuso è perché non si sa raccontare bene, non perché lo sia di per sé, anzi è un ottimo momento per l ‘arte italiana, ma non lo stiamo raccontando in maniera chiara. 



Dunque per lei questo approccio scientifico porterà ad una più completa rappresentazione e dunque comprensione dell’arte italiana in Italia?

Se non si racconta bene cosa sta succedendo nell’arte Italiana, per il pubblico che a volte è più o meno appassionato, può risultare confuso e qualcosa di confuso può diventare respingente. L’obbiettivo è raccontarlo innanzi tutto in Italia, per il nostro pubblico che ha bisogno di confrontarsi con il territorio e con gli artisti che gli sono più vicini perché vivono la stessa realtà; Altrettanto importante è raccontare l’arte italiana all’estero, dove purtroppo anche lì il racconto difetta. 

All’estero c’è una sorta di non conoscenza di quello che sta accadendo nel paese dal punto di vista artistico. Sia il pubblico semplice, sia gli addetti ai lavori, possono trovare in Italia degli elementi di interesse, ma se non si è in grado di presentare bene ciò che si sta facendo, questo può essere ignorato e non deve succedere più. 

È importante che gli elementi identificativi dell’arte italiana diventino riconoscibili.



Per quanto riguarda la Quadriennale: Il fatto che lei sia in primis un artista e non un curatore pensa sia un valore aggiunto?

Bisogna essere molto precisi sul compito che andrò a svolgere, io non sarò un curatore e non farò il lavoro del curatore, ma del Direttore Artistico, il quale è un po' come il capo di un giornale che può non essere un critico o un cronista, il suo è un lavoro direttivo che non ha nulla a che fare con quello delle persone interne alla rivista. I curatori ci saranno all’interno della Quadriennale, ma non sarò io, io devo semplicemente cercare di fare un lavoro di orchestrazione, di direzione. 



Allora riformulo la domanda: lei in quanto artista sarà in grado di fare il Direttore Artistico? 

Nella mia vita ho spesso occupato altri ruoli direttivi in diversi ambiti, ho diretto centri culturali e riviste, il lavoro del coach lo so fare! Poi certamente sarà necessario che la Quadriennale collabori con una rosa di curatori che porteranno i loro contenuti curatoriali. Attenzione però, il coach non è quello che ti dice cosa fare ma è soltanto quello che cerca di organizzare i contenuti portati da critici e curatori. Io non andrò ad interferire dal punto di vista dei contenuti voglio solo trovare il sistema perché siano di qualità e poi metterli in un’organizzazione, esattamente come funziona un giornale.



Parliamo ora della Biennale, lei sarà l’unico artista per il padiglione Italia e dovrà misurarsi con uno spazio di 1.200 metri quadrati…

Hanno scritto cosi, ma in realtà lo spazio è di 1850 mq più l’esterno di 600 mq.

Dal punto di vista dello spazio, la Biennale, non è sicuramente tra i più grandi su cui ho lavorato, anzi è sicuramente tra i più piccoli però è un progetto molto più ambizioso di molti che ho fatto, quindi da una parte non sono le dimensioni che mi preoccupano (ho fatto lavori di 9.000 mq, l’ultimo l’ho fatto in un lago e li si parla di km quadrati) ma la complessità del progetto stesso. 

Non lo stiamo prendendo con spensieratezza, tutto il team ci sta lavorando con attenzione a partire dal curatore Eugenio Viola, il resto della squadra, lo studio e i collaboratori presi appositamente per questa operazione. Stiamo lavorando con ritmi disumani, il progetto come ho detto è molto ambizioso e complesso e ovviamente ci teniamo moltissimo, perché è vero che tutte le opere sono importanti allo stesso modo però pensiamo che, in questo caso, sia io che Viola non rappresentiamo solo il nostro lavoro, ma rappresentiamo l’Italia in quella che è una sorta di grande competizione olimpionica. 

Lo scopo non deve essere solo fare la prestazione, ma anche far pensare le persone. Non ci dimentichiamo che la Biennale 2022 è la prima post pandemica e quindi è il momento in cui la comunità dell’arte farà uno statement sul futuro quindi non stiamo soltanto rappresentando l’Italia a livello di prestazione, ma che cosa dice l’Italia dell’arte sul futuro diverso che ci aspetta. 



Lei cosa ne pensa del futuro dell’arte, lo vede roseo? 

Innanzitutto è il futuro dell’umanità che ci interessa principalmente, ed è un futuro che dobbiamo avere il coraggio di abbracciare veramente. In questi due anni sono successe delle cose che cambieranno il mondo per sempre e se ne è parlato troppo poco, più che altro se ne è parlato a livello pratico, invece la pandemia dovrebbe finalmente averci fatto entrare in una prospettiva nuova che è anche una prospettiva dura e difficile. Penso che se vogliamo andare avanti nel futuro dobbiamo abbracciarlo con onestà, dobbiamo capire cos’è, cosa ci aspetta e non pretendere di tornare alla vita di prima perché così perderemo solo tempo. 

L’arte italiana in questa prospettiva chiaramente deve essere un’arte consapevole e un’arte che per il ruolo che ha, di mediazione tra la nostra sensibilità e i fenomeni, deve essere fortemente al servizio del suo compito originario per cui deve essere impegnata.



Perciò anche il padiglione avrà una forte connotazione sociale come annunciato da Franceschini?

Su questo hanno scritto molte persone perché sono un artista che nelle sue opere porta sempre una dimensione politica, ma io non farei mai una distinzione, perché tutta l’arte infondo è politica, anzi paradossalmente l’arte meno politica di tutte è quella che fa grandi statement politici, perché lì smette di essere arte e diventa comunicazione.

È ovvio che qualsiasi gesto è politico, perché politica vuol dire stare assieme all’interno della comunità, anche un gesto di gentilezza è politica dunque un gesto poetico come un opera d’arte è profondamente politico.

Non è che sarà un padiglione politico il problema è che non esiste arte che non sia anche politica. Per cui ovviamente sarà politico, non potrebbe essere altrimenti! Poi non possiamo negare che questa Biennale farà il punto della comunità culturale sull’avvenire quindi siamo stimolati in maniera ancora più decisa a provare a dare una lettura del presente e del futuro. 

sito web: www.tosatti.org

-Rubina Postiglione-